Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma, potrebbe aver vissuto i suoi ultimi giorni alle falde del Monte Somma, dove oggi sorge Somma Vesuviana, in provincia di Napoli.
Nessuno è mai riuscito a individuare il luogo in cui morì il successore di Caio Giulio Cesare.
Gli scavi archeologici in località Starza della Regina, iniziati nel 2002, potrebbero presto fornire una risposta.
Tacito scrisse che Augusto spirò nel 14 d.C. in un luogo “apud urbem Nolam”, ovvero vicino alla città di Nola, all’epoca uno delle civitas più importanti a sud di Roma.
Le fonti antiche, inoltre, raccontano che in questo territorio, intorno al I sec. d.C., esistevano molte ville di personaggi illustri, tra cui Virgilio e il padre di Augusto, attirati dal clima salubre, dalla tranquillità e dalla fertilità del suolo.

A Somma Vesuviana, a circa 13 km da Nola, si scava un edificio romano che per imponenza e ricchezza decorativa sarebbe stato degno di ospitare un imperatore.
E’ proprio questa l’ultima dimora di Augusto?

Per ora è solo un’ipotesi, che risale addirittura agli anni ’30, quando Matteo della Corte, direttore degli scavi di Pompei, avviò un cantiere in seguito al ritrovamento casuale di strutture murarie antiche. I lavori riportarono alla luce i pilastri di un edificio, interpretato come una villa, ed altri reperti interessanti, tra cui stucchi policromi, frammenti di statue e capitelli, seppelliti da strati di eruzioni vulcaniche.
Qui inizia la storia della “Villa Augustea” di Somma Vesuviana.
Tutto però si fermò per mancanza di fondi e per l’avvento della guerra. E le mura furono nuovamente seppellite insieme al mistero.

Oggi è l’Università di Tokyo a condurre gli scavi, in collaborazione con l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, su progetto del Prof. Antonio De Simone, l’archeologo campano a cui si deve l’idea e l’avvio della nuova ricerca.
La datazione delle strutture emerse, fra il II e il V sec. d.C., e quella delle ceneri vulcaniche, riconducibili alle eruzioni del 472 e del 512 d.C., sembrerebbero negare la suggestiva ipotesi di Della Corte.
Altre considerazioni, tuttavia, lasciano aperta la possibilità di una clamorosa conferma.

Dal 2002 ad oggi sono stati scavati 2.500 metri quadrati e gli archeologi si aspettano di scavare una superficie almeno pari, dato che finora è stata rilevata soltanto un’area monumentale di ingresso.
Nulla, pertanto, può escludere l’esistenza di un nucleo più antico, con funzione residenziale, intorno al quale si sarebbe poi sviluppato l’edificio attuale. Tale nucleo antico, inoltre, giustificherebbe la presenza di alcuni elementi che rimandano ad un periodo antecedente l’eruzione del 79 d.C, quella che distrusse Pompei ed Ercolano, ovvero il tempo in cui morì Ottaviano.
Diversi stilemi decorativi, infatti, sono tipici del I sec. d.C., come accertato da un raffronto con gli altri scavi vesuviani.
Tra le strutture, inoltre, è stata ritrovata una cella vinaria con diversi dolia, ovvero grandi vasi per conservare il vino, databili a prima del 79 d.C. in base ai sigilli di chiusura, con nomi di famiglie ercolanesi.
Ad un periodo antecedente l’eruzione del 79 d.C., infine, appartengono le due pregevoli statue, originariamente policrome, rinvenute vicine a due nicchie: una Peplophoros (donna con veste greca) e un Dioniso con pantera, ora custodite nel Museo Archeologico di Nola dopo esser state restaurate.
La statua di Dioniso, in particolare, ha suscitato curiosità e ammirazione entro e fuori la comunità scientifica, tanto da essere richiesta per diverse mostre sia in Italia che in ambito internazionale.
Di grande raffinatezza ed equilibrio delle forme, la statua raffigura un Dioniso adolescente coronato d’edera e un cucciolo di pantera in braccio, rappresentazione piuttosto rara, quasi unica, per la letteratura e l’iconografia tradizionale, nella quale Dioniso/Bacco è solitamente un uomo maturo, panciuto e barbuto.

Si può obiettare che tutti questi elementi, pur antecedenti al 79 d.C., sono semplicemente integrati nell’edificio, la cui fondazione è comunque posteriore alla morte di Augusto.
Ecco allora che l’ultima delle scoperte degli scavi riapre in modo definitivo la questione.
Si tratta delle mura perimetrali di una grande cisterna per l’acqua, la cui larghezza è di circa 10 metri e la cui lunghezza non dovrebbe essere inferiore ai 30. Dai resti di pilastri sul pavimento, inoltre, si evince che la cisterna era ricoperta da enormi volte ad archi. Ebbene, le imponenti dimensioni suggeriscono che la cisterna doveva servire un’area molto ampia. Non solo! Sul fondo della pavimentazione della cisterna sono state intercettate strutture murarie preesistenti alla costruzione della cisterna stessa e quindi antecedenti l’eruzione del 79 d.C. Insomma, la cisterna confermerebbe l’ipotesi di un nucleo originario antico e, allo stesso tempo, apre l’affascinante scenario di un maestoso complesso residenziale, di cui l’edificio oggi emerso sarebbe quindi soltanto una parte.
In tutto il testo, ci avrete fatto caso, abbiamo volutamente parlato di “edificio” e non di “villa”. Perché, di fatto, ad oggi non è certo che sia una villa. Potrebbe addirittura essere un tempio. E la villa ove morì Augusto potrebbe essere nella stessa area, magari a pochi metri.

Il portale decorato nel sito di Somma Vesuviana

Portale decorato con stucchi policromi (foto di Gianfranco Adduci)

In realtà, lo scenario è ancora più vasto e coinvolge l’intera area a nord del Somma-Vesuvio, sulla quale non si è mai soffermata a sufficienza l’attenzione di storici e archeologi, concentrati sui centri costieri e sull’eruzione del 79 d.C.
Tracce dell’antica civiltà romana sono sparse nel centro storico di Somma Vesuviana. Da qui passava anche il grandioso acquedotto che partiva da Serino, in provincia di Avellino, e terminava nella Piscina Mirabilis, a Bacoli, per approvvigionare la flotta romana. Acquedotto che, forse non a caso, era stato voluto proprio da Ottaviano Augusto. Nella vicina Pollena, in località Masseria De Carolis, si sta scavando una grande villa romana, completa di terme, con il progetto Apolline Project, parallelo e complementare a quello della “Villa Augustea”. Tracce di altre ville di lusso sono rinvenute nella stessa Pollena come anche a Poggiomarino.
Insomma, c’è un nuove fronte ancora tutto da esplorare, questa volta seppellito non tanto dall’eruzione del 79 d.C. quanto piuttosto da quella del 472 d.C., nota come “eruzione di Pollena”. Un’eruzione forse anche più impressionante di quella raccontata da Plinio il Vecchio: le sue ceneri giunsero fino a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, dove ogni anno, il 6 novembre, ne celebrano ancora il pauroso ricordo.

La cella vinaria della

La cella vinaria con i dolia (foto dal blog degli scavi)

Gli scavi di Somma Vesuviana hanno un eccezionale valore scientifico che non si limita alla storia o all’architettura. Dalle ossa di animali, dai resti dei pasti, dalle ceramiche e dai resti vegetali presenti nel sito si possono ricostruire l’economia, le usanze alimentari e il paesaggio del territorio.
Di sicuro, ad esempio, c’erano molti più castagni di quanti ce ne siano oggi. E certo tutta l’area era votata alla viticoltura, come attestato dalle buche tipiche delle viti all’esterno dell’edificio ma soprattutto dalle decorazioni e dagli impianti produttivi presenti all’interno, innestati nell’ingresso monumentale quando questo era probabilmente già in disuso.
Nell’ultima fase della sua vita, infatti, l’edificio fu trasformato in fattoria agricola. Considerando numero e capienza dei dolia, disposti su più piani per agevolare i travasi, è stato stimato che la villa potesse produrre ben 100.000 litri di vino all’anno, quantità molto ingente che sicuramente era destinata anche ad essere commercializzata. Nell’area è presente inoltre una vasca di fermentazione, da cui il vino confluiva ai dolia attraverso due canalette.
Le diverse decorazioni policrome del sito, del resto, rimandano tutte al culto di Dioniso (il dio del vino, Bacco per i romani), già testimoniato dalla statua, tanto che l’edificio è noto anche come “Villa Dionisiaca”. Come ci raccontano alcuni affreschi di Pompei ed altre ricerche archeologiche, le colline del Vesuvio erano ricoperte da vigneti ed il legame fra Bacco e il vulcano era molto forte a livello culturale.
 Tra le decorazioni emerse, in particolare, spicca un bellissimo fregio affrescato che raffigura Nereidi e Tritoni, all’interno di un’abside. E a queste si aggiungono altri elementi preziosi: colonne di marmo nero africano, un pavimento a mosaico con delfini ed affreschi policromi con motivi geometrici e floreali.